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Medioevo n. 339 – Aprile 2025

È possibile che la Commedia di Dante Alighieri, considerata la pietra d’angolo della etteratura italiana moderna, abbia ricalcato il modello di una più antica opera islamica, il Libro della Scala? L’ipotesi, avanzata oltre un secolo fa e inizialmente respinta con decisione, torna d’attualità e mostra più di una giustificazione

Estratto da Medioevo n. 339 – Aprile 2024 – Nel Kitab al-mi’raj (Libro della Scala, nel senso di «scalata al cielo», «ascensione») – un testo escatologico arabo-spagnolo che narra il viaggio notturno dalla Mecca a Gerusalemme, e nei mondi ultraterreni, di Maometto – l’Arcangelo Gabriele così si rivolge al profeta: «“Maometto, ti sei bene impresso nel cuore tutto quel che hai visto?”. Ed io risposi di sì. Allora lui disse: “Va’, dunque, e tutto quel che hai visto, riferiscilo e illustralo ai tuoi, affinché lo sappiano, e si tengano nella giusta via della legge, e pensino e facciano in modo di meritarsi il Paradiso e di scampare all’inferno”». Così, invece, nella Divina Commedia, giunti alla sommità del monte del Paradiso terrestre, Beatrice si rivolge a Dante: «Tu nota; e sì come da me son porte, / così queste parole segna a’ vivi / del viver ch’è un correre alla morte» (Purgatorio, XXXIII, 52-54).

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Questi primi riferimenti permettono di mettere in parallelo Dante e la Divina Commedia, e il suo rapporto con l’Islam, o meglio con il mondo islamico. È un argomento assai vasto, sul quale esiste una letteratura amplissima, e qui punteremo dunque i riflettori solo su alcuni degli spunti maggiormente pregnanti: il rapporto di Dante con la cultura arabo-islamica, la costruzione e la diffusione del Kitab al-mi’raj e le analogie presenti tra questo testo e la Commedia dantesca.

Partiamo dunque da un versetto che troviamo nel IV canto dell’Inferno: «Averrois che l’gran commento feo». Dante colloca il celebre filosofo nel Limbo, quel luogo che Jorge Luis Borges ha definito «un enorme museo delle cere». Il riferimento al filosofo musulmano Abu al-Walid Muhammad ibn Rushd, conosciuto come Averroè, è uno dei numerosi esempi che testimoniano come Dante fosse un aristotelico averroista: per lui (Per continuare la lettura corri in edicola e chiedi di Medioevo abbonati per riceverlo direttamente a casa!)

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